30 gennaio 2015

i cani di Acab

C’era qualcosa di sciocco nell’accanirmi contro me stesso per arrivare a fare quello che meno mi riusciva e (dunque) più desideravo. Scrivere. Mi era doloroso ricomporre le idee, trasformarle in parole, in sequenze ordinate; tutte tornavano ad aggrovigliarsi sulle poche immagini che si erano fissate nella mente, facendosi giovani ossessioni. Bene, pensavo, si uniranno a quelle più vecchie.
Vedevo i cani randagi che leccavano il sangue di Acab ferito a morte, secondo la profezia di Elia nella Bibbia.

Nel frattempo trascorrevano mesi come fossero giorni, stagioni intere, a impoverirmi senza lasciarmi fare quasi più nulla.
Il viaggio del protagonista che mi imponevo come alter ego, era senza dubbio più entusiasmante del mio. Mi stancavo di lui per troppa indulgenza, riconoscendo la verità: io cercavo Acab e con lui l’ossessione della balena.
I cani che Elia aveva liberato nella mia testa ringhiavano il suo nome: Acab. Acab!

Per arrivare a lui mi costringevo a scrivere di nuovo, per far procedere la storia.