30 gennaio 2015

i cani di Acab

C’era qualcosa di sciocco nell’accanirmi contro me stesso per arrivare a fare quello che meno mi riusciva e (dunque) più desideravo. Scrivere. Mi era doloroso ricomporre le idee, trasformarle in parole, in sequenze ordinate; tutte tornavano ad aggrovigliarsi sulle poche immagini che si erano fissate nella mente, facendosi giovani ossessioni. Bene, pensavo, si uniranno a quelle più vecchie.
Vedevo i cani randagi che leccavano il sangue di Acab ferito a morte, secondo la profezia di Elia nella Bibbia.

Nel frattempo trascorrevano mesi come fossero giorni, stagioni intere, a impoverirmi senza lasciarmi fare quasi più nulla.
Il viaggio del protagonista che mi imponevo come alter ego, era senza dubbio più entusiasmante del mio. Mi stancavo di lui per troppa indulgenza, riconoscendo la verità: io cercavo Acab e con lui l’ossessione della balena.
I cani che Elia aveva liberato nella mia testa ringhiavano il suo nome: Acab. Acab!

Per arrivare a lui mi costringevo a scrivere di nuovo, per far procedere la storia.




20 gennaio 2015

sui disegni


Per rispondere in un colpo solo a un paio di domande pervenutemi: fin qua ho "pescato" dal quaderno degli schizzi alcuni disegni, bozzetti, appunti visivi appartenenti al primo periodo, quello dell'approccio vero e proprio al romanzo. Parliamo dell'anno 2009 circa. Idee per una vignetta, per una sequenza, in alcuni casi per un'intera pagina: tutto materiale successivamente scartato, almeno in questa forma, ma che è stato fondamentale per la costruzione delle tavole definitive, attualmente in lavorazione. Credo che quasi sempre la genesi di un'immagine sia più interessante del risultato finale. Anche quando si tratta d'uno scarabocchio.


nel segno di Coffin


New Bedford, dicembre di un anno fuori dal tempo. La città dell’imbarco ti accoglie nera, appuntita nel vento. Una chiesa mormora nel buio sporco tra le case.

Battuto dal freddo, ti chiedi da quanti secoli vai per mari e per deserti, quanti spettri ballano accanto a te in questa notte. Non sei mai così solo davvero quando tremi.

Le strade sono storie lastricate di ossa di balena, uno di questi  vicoli oscuri è l’inizio che senza sapere hai scelto. Consideri la notte, il gelo che brilla e taglia le vene. Consideri le poche monete nella tua sacca, la fame e il sonno brucianti. Questa città guado per l’oceano, non sarà imbarco veloce. 
Dovrai fermarti, dovrà accaderti qualcosa. Qui.


sangue (uno)


(tratto dagli appunti miei del 2010)

(voce off) 

- Come tentacoli, rosse correnti si spingono in profondità, nell’abisso del tempo 
- Coagula il sangue in una grossa bolla dentro cui non si riesce a distinguere nulla
- Una bolla che cresce, si fa largo nello spazio invisibile dietro i miei occhi. Dall’enorme bulbo    subacqueo uscirà forse una città, una storia. 
- Da un'indefinita bolla di morte prende vita un romanzo
- Dall’altra parte della notte ti aspetta una città di mare 





















17 gennaio 2015

non scrivere, scrivi


Novembre 2009.
In breve tempo era chiara una sola cosa. Per scrivere della balena bianca occorreva la forza caparbia e cieca che io non possedevo. Sostituivo l’affanno alla scrittura, il delirio alla narrazione. Occhieggiava una nuova stagione di nevrosi elettriche. Non c’era più una sola balena bianca in testa ma ce n’erano tante quanti eravamo noi a cercarla. Infinite balene ovunque. Infinite, loro ridevano.

Io e te eravamo opposti complementi di un viaggio per uno solo. Non scrivere, scrivi. Attendi.

Incline al marinaio scrittore, al suo viaggio poetico abissale, capivo di pagina in pagina, di rilettura in rilettura, che la fine del lavoro e la salvezza delle sue intenzioni, avrebbero coinciso con l’infinitezza del tutto. Era già una delusione invitante, l’entusiasmo di averne ragione poi.

Ritornavo sui miei passi stanco e rabbioso. Ti scrivevo poi una lettera, per dissipare i dubbi. Per scrivere di non aver scritto nulla. 






12 gennaio 2015

una balena in più


Non avevo più nulla che mi legasse alla vita e pochi soldi per dimenticarla. Mi fermavo sorpreso a guardare i volti dei più giovani sui manifesti funebri, a scorrere l’anniversario della morte dell’amico d’infanzia. Mentre sparivo, ricordavo, rivivevo.
Guidando decidevo per il mare, come sempre. A volte per qualche istante la vista scompariva, le braccia se ne andavano lontano, staccate da me, protese a un tuffo violento.
Come se non avessi guidato io, arrivavo al mare, sempre lì, dietro alle dune indorate, unica certezza del giorno.
Il rovello di pensieri si smorzava nel volo nero dei gabbiani in controluce. Quegli uccelli ricadevano bianchi sulle creste dell’acqua, urlanti di vita.
Nel suo mantra obliquo, il mare mi calmava e diceva.
Cercavo allora l’inizio della storia:

Appare una distesa di mare morbido.  Infonde calma, presagisce.

Un punto sopra il mare è un uomo sospeso su di un sogno oceanico.

Nella mente, lui si parla.

Ismaele: “Quanto mare potrà contenermi?” 



ombre


11 gennaio 2015

noi, Ismaele

L’Inizio è sempre una seconda volta, un sogno ricorrente
C’era un brusio fumoso nella testa. Diverse notti sogni fluttuanti su un mare calmo, infido.
Frequenze sottili ininterrotte attraverso i timpani, giù fino alla gola, fino a tacerti indurito nelle mascelle. I pochi spiccioli messi in fila sul piano dello scrittoio. Le finestre serrate senza scampo.
Quel giorno una volta sveglio potevi impazzire. Potevi uccidere. Giorni d’autunno e di fuliggine, sprigionano mostri assopiti in quei giorni senza più sangue né ragione.
O ti muovi o puoi credere di essere scomparso per sempre dentro la tua memoria.
Ti sollevi, ti affacci alla finestra e guardi la vita con sgomento. Cos’è tutto quell’agitarsi là fuori?
Decidi di andare per mare, di incamminarti prima verso un rivolo d’acqua, così, ritrovare i tuoi passi nei luoghi che hai già camminato troppe volte. Cammini poi senza seguire che i passi, disperdi coscienza, ti addentri nell’ultimo sogno a forma di balena, affidi a quello un moto di entusiasmo, e sorride lo sguardo, Ismaele.



7 gennaio 2015

una questione privata, in mare aperto.

Quando abbiamo iniziato a immaginare questo viaggio incontro alla balena, in qualche modo sapevamo che non sarebbe terminato se non in un grande vortice. Così (fino a qui) è andata.
La storia della balena bianca si è fatta storia di un personale doppio smarrimento; si è presa tutto, divorata tutto, portandoselo in profondità sempre meno chiare, fino al fondo di un gorgo da cui tentiamo qui di risalire (ora la balena è in alto, vola sopra le nostre teste).
Ci siamo inabissati con lei e i suoi fantasmi. Sono trascorsi anni, stagioni, e le nostre vite nel frattempo sono cambiate più volte, restando sempre dentro, sotto o sopra la balena. Il romanzo che volevamo ridurre a una storia illustrata, ha prodotto le immagini e le parole di un vagabondare continuo della fantasia e del desiderio, senza una fine, una chiusura.
La sindrome di Melville (così l’abbiamo chiamata) ci ha colto e tradito: uno smarrimento svagato, a tratti compiaciuto, dentro l’epopea di Moby Dick... Ci siamo convinti che lo stesso Melville si sia abbandonato a questa condizione dell’anima negli anni della stesura del romanzo; si possono infatti ritrovare stati di follia e di allucinazione nella biografia dello scrittore, negli anni che seguono la genesi e la difficile diffusione del suo libro più famoso.




Ottobre 2009-Gennaio 2015. Volevamo uscire da un autunno pigro e indolente, veleggiare verso un Moby Dick da raccontare in immagini e parole, e oggi siamo ancora qui, confabuliamo sommessamente sempre all’ombra della balena, che ci sovrasta. Dannata balena!
E' stato un lungo viaggio fino a questo spazio, a sua volta dilatabile all’infinito, capace di superare la portata delle nostre intenzioni originarie di terminare un lavoro, dar vita a un libro… Quelle intenzioni che forse abbiamo temuto sempre troppo ambiziose, troppo solamente ambiziose, e possibili.