27 luglio 2015

New Bedford

"Però, che posto buffo questa New Bedford. Se non era per noi balenieri, oggi questo pezzo di terra sarebbe in condizioni da piangere, proprio come la costa del Labrador."


17 luglio 2015

“I would prefer not to”


Sono quasi due secoli che Moby Dick attende l’oblio. Mai nata, mai morta, sempre narrata, dipinta, cantata.
Si sottrae alla realtà, la rifiuta.

L’immortalità del mito è una prova inverificabile in vita.

Quante balene dentro questi secoli ancora. Una anche tra i poeti italiani d’avanguardia, come quello i cui versi mi sono capitati davanti per caso, in un pomeriggio altrettanto casuale e causa d’infertili emicranie.
Sono i versi di Antonio Porta, anno 1966:

La caccia alla balena ha inizio
sul mare innestato di vele
che l’incavo di vento carica di mare.
Stiamo vigili al comando, i ghiacci
inviano bagliori circondando la rotta.
Scoppia la bufera e la nave capriola
la vista indebolisce, la gola si torce, rigagnoli scendono sulle gambe
la schiena del cetaceo splende all’improvviso, incalziamo con gli arpioni
e primi si bucano i seni, seconde le cosce lucide e rovescia il ventre, le braccia allunga all’indietro:
“Issiamola a bordo, divoriamo!”

Cosa dovevo credere se non che il poeta (Porta ma anche Melville) avesse anche lui vissuto in sé attimi di balena antropomorfa; una balena con le cosce, con i seni e le braccia.
Divoriamo(la)!



Da ragazzo ero costretto alla parafrasi delle opere scolastiche e ne ho ricordi livorosi. Credevo fosse un esercizio sterile e pretenzioso.
Nel ribaltamento di umori e di cieli stretti addosso, oggi sento quell’esercizio necessario al mio scopo: convincermi che la balena è ubiqua poesia, è umana e divina assieme; ha seni e cosce esposte all’attacco di arpioni (che incalzano), è splendente, e morendo si fa di volta in volta immortale. Morendo ci porta con sé. Ci lega ad un remoto profondo affetto. E siamo immersi in lei come la poesia immerge l’uomo.

Tu ricorderai quante volte è rinata l’ossessione della balena essere femminile cumulo di sirene e incurvature gigantesche eppure di leggerissima danza. Ne disegnasti il volto, le linee sinuose, la cupa sensualità.
Oggi rinasce, sacrificata ai versi sopra, la balena Afrodite.

13 luglio 2015

non sei Giona, nemmeno un dio


Ogni partenza ha il proprio rituale. Ogni scaramanzia una stolida cerimonia. Cosa temi veramente, Ismaele? La ritorsione divina per ciò che hai solo osato pensare: liberarti di tutto, sfidare l’abisso, gli dei.
Il viaggio parta dunque benedetto da un padre baleniere di nome Mapple. Anche lui risponde al tuo poema sacro: è un prete che arriva dalle profondità del mare, che del mare porta gli impeti e la grazia. Dalle sue profondità ha udito l’ultima preghiera di Giona prima che fosse vomitato in salvo dalla balena.
Il pulpito della chiesa è la prua che fende il dubbio dei credenti davanti alla sparizione dei loro cari. Restano le lapidi ai muri, vuote di ogni consolazione, di ogni morta materia.
Tu e Quiqueg di nuovo  assieme qui, tra vedove e marinai, affidati per l’occasione allo stesso Dio.
Tutti attendono il sermone che risvegliando Giona faccia tremare i cuori e rinsaldi le anime. Anche tu Ismaele, contrito, ti ricrederai.

Quanti sermoni schiuderà il tuo libro?




“Dio aveva creato un grande pesce per inghiottire Giona”, grida il prete alla platea e ai fantasmi del mare.  Prometti obbedienza ai comandamenti e alle verità della Bibbia. Contrasti il terrore bianco della fine con indigesta devozione. Ora attento. Dio, dall’alto ti guarda e ti sente, attento, non dubitare adesso! Distrai il pensiero, volgilo all’angelo abbagliante sopra quel pulpito. Crediti fedele. Crediti.

“Di sfondarmi l’anima, né una balena e nemmeno Giove saranno capaci” dici a te stesso, sognando l’immortalità, umiliando il corpo, che possa andarsene in pasto agli squali e alle orche.

Giona dentro la balena ha ritrovato Dio, così salvandosi. Nelle viscere di Moby Dick, tu figlio di Abramo, non troverai che parole, e mistero.



11 luglio 2015

il pastore


Dio nella balena

Devo mettere Dio sul dorso della mia balena? Il mio nome, la mia civiltà, ubbidirò, se questo può salvarmi.

Così pensi e trovi in Giona l’aneddoto biblico che scriverai. Il tuo grande romanzo è sacralizzato.

New Bedford. Una città cosparsa di grasso di balena, fiorita di ippocastani, non può nascondere una chiesa. Oscuramente attratto da un commiato che chiami in causa il divino e la morte, lanci in questo capitolo la tua sfida al viaggio. Spingi su una nuova porta e poi pentiti.